Quale regolamentazione per il Web italiano?
Gli ultimi casi di cronaca che hanno visto il Web protagonista suo malgrado
riaprono il dibattito sulla regolamentazione della Rete.
La notizia è stata ampiamente raccontata e seguita da tutti i media italiani: alcuni studenti di una scuola hanno
picchiato un proprio compagno down, riprendendo l'accaduto e quindi rendendolo disponibile al pubblico su Google Video. Nel
giro di pochi giorni si è scatenata la caccia all'episodio di bullismo su Internet, in particolare su YouTube e su
Google Video. Siamo stati letteralmente inondati, nei telegiornali, da filmati scaricati da Internet, e l'equazione passata
alla gente è stata quella che la Rete incentiva gli episodi di bullismo. Da qui, a indagare due responsabili di
Google, il passo è stato breve. Il problema della legalità online torna prepotentemente d'attualità.
I fatti
La denuncia a Google è l'elemento veramente dirompente dell'inchiesta in corso. Episodi di bullismo, gravi e meno
gravi, sempre stupidi, ce ne sono sempre stati e ce ne saranno sempre, accompagnati dalla vanteria del caso degli stupidi
di professione. Quindi, la onlus Vivi Down che si è occupata di quel fatto di bullismo, ha denunciato Google per
diffamazione. I PM di Milano hanno iscritto due responsabili americani di Google nel registro degli indagati e fatto
eseguire delle perquisizioni. A nulla è valso l'atteggiamento di Google, collaborativo con la giustizia e
autocensurante appena è emersa la questione con la rimozione del video sotto accusa.
L'aspetto legale
Da quel momento, molti politici si sono affrettati a dichiarare che esiste un buco normativo e che presto vi porranno
rimedio. Una verità discutibile, perché la questione può a buon diritto rientrare nella discussione
sulla responsabilità oggettiva degli internet provider. Questione già affrontata e risolta in sede europea
con la direttiva 31 del 2000, recepita in Italia dal decreto legislativo 70 del 2003. La questione è fissata: non
esiste un obbligo generale di sorveglianza preventivo a carico dell'internet provider, che cioè non ha una
responsabilità oggettiva sui contenuti immessi in Rete. Soltanto a fronte di un provvedimento esecutivo delle
autorità è possibile rimuovere o rendere indisponibili servizi o contenuti.
La regolamentazione Web
Tuttavia, se da un punto di vista giudiziario quella norma dovrebbe essere sufficiente a chiarire la maggior parte degli
aspetti della vicenda, rimane aperta invece una questione ben più importante e di ampia portata. Il Web, per come
è nato, per come si configura e per il suo innato carattere di libertà d'accesso, è una sorta di
territorio aperto. Vale la pena regolamentare questo territorio aperto oppure è meglio lasciare la massima
libertà d'espressione agli utenti. Sulla questione, fortemente dibattuta da anni, si torna oggi con nuove
preoccupazioni legali planetarie (terrorismo e cyberterrorismo), di comportamento e di decenza (il video sharing permette
di postare immagini di ogni tipo, dalle violenze al bullismo alla pedopornografia), di informazione corretta e responsabile
(quali garanzie danno sulle notizie le nuove forme del sapere collaborativo?)
Una soluzione difficile
La soluzione al problema resta molto complicata. Da una parte c'è la questione del mezzo, che è
sopranazionale, e dall'altra le normative, che hanno base nazionale salvo accordi specifici (che però dovrebbero
essere sottoscritti dalle singole nazioni). Dall'altra c'è già la possibilità di individuare la
singola responsabilità, e il dibattito sul ruolo dei grandi carrier (semplici mezzi o responsabili dei contenuti?).
Una proposta tutta da studiare
Escludendo a priori l'appoggio a qualsiasi tentativo di censura, le strade percorribili non sono molte. Il problema non
è tanto nelle leggi (che vanno rispettate, anche online), ma in tutti i casi di confine: a questo proposito ci
sembra utile segnalare la proposta, rilanciata ultimamente dal giurista Stefano Rodotà dalle pagine di un quotidiano
ma dibattuta da anni, di una "Carta dei diritti e dei doveri". Non un'imposizione, ma una sorta di codice deontologico
riconosciuto da tutti, in primis dagli operatori del Web e magari anche dagli utenti. Ovviamente, è molto più
semplice dirlo che realizzarlo, ma forse nell'ambito delle Nazioni Unite è tempo che qualcuno cominci a sollevarla
come questione concreta.
 |